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Ospite: Gianpaolo Barra / Argomento: Cristianesimo
La storia dimostra che soltanto la Chiesa cattolica è la vera Chiesa edificata da Gesù Cristo. Ortodossi, protestanti, anglicani, valdesi e testimoni di Geova non possono vantare altrettanto.
Abbiamo consolidato le ragioni della nostra appartenenza alla Chiesa cattolica, che ha come capo visibile il Romano Pontefice con le prove che ci fornisce la storia.
A parlarci di questo argomento classico dell'apologetica durante il 9° Giorno del Timone della Toscana abbiamo avuto colui senza il quale il nostro centro culturale non sarebbe nato: il professore Gianpaolo Barra, fondatore del Timone, autore di un quaderno del Timone dal titolo "La vera chiesa? È quella cattolica".
Gianpaolo Barra ci ha condotto alla ricerca della vera Chiesa fondata da Gesù di Nazareth. Né le chiese che appartengono alla prolifica famiglia della Riforma protestante, né quella anglicana, né la valdese (per citare solo le più note) possono dimostrare, con prove storiche, d’avere origini che risalgono all’età apostolica. Di sicuro, nessuna di esse è stata fondata da Gesù. Soltanto la Chiesa cattolica e quella dell’Oriente cristiano, l’Ortodossa, hanno un’età bimillenaria. La sola, vera Chiesa istituita dal Signore non può che essere una di esse. E solo su queste due confessioni il direttore del Timone ha svolto la sua indagine di carattere storico.
Come facciamo a capire qual è la vera Chiesa fondata da Cristo? Ci aiuta a rispondere l’esame di un’altra caratteristica della vera Chiesa di Cristo: il Primato di Pietro.
Il Primato di Pietro, promesso da Cristo al Principe degli Apostoli, divide le Chiese d’Oriente dalla Chiesa cattolica. Le prime riconoscono a Pietro, e ai suoi successori, i Vescovi di Roma, un Primato di onore, ma non di giurisdizione. La posizione del Vescovo di Roma è certamente privilegiata rispetto a quella di tutti gli altri Vescovi, ma non tale da consentire al successore di Pietro di governare tutta la Chiesa. Questo è quanto credono le Chiese d’Oriente. La Chiesa Cattolica ritiene invece che i successori di Pietro, i Papi, i Vescovi di Roma, abbiano un Primato che comporti anche il governo di tutta la Chiesa, non solo un Primato d’onore. Chi ha ragione? La risposta deve esserci fornita dalla storia, precisamente da quella storia che hanno in comune la Chiesa cattolica e le confessioni dell’Oriente cristiano.
In primo luogo: non si hanno dubbi che, fin dai primi decenni successivi la morte di Pietro, il suo ministero sia stato esercitato dal Vescovo di Roma. La Chiesa primitiva era comandata dal Vescovo di Roma. Ne dà testimonianza l’episodio che vede come protagonista papa Clemente, quarto Vescovo di Roma dopo Pietro, Lino e Anacleto. Di Clemente ci è pervenuta la celeberrima lettera che egli scrisse, sul finire del I secolo, ai cristiani di Corinto. Questi ultimi avevano deposto i loro capi dando vita ad una pericolosa situazione di anarchia. Ecco le parole con le quali Clemente interviene per condannare questa deposizione: "Quelli che furono da essi [Apostoli] stabiliti o dopo da altri illustri uomini con il consenso di tutta la Chiesa, che avranno servito rettamente il gregge di Cristo con umiltà, calma e gentilezza e che hanno avuto testimonianza da tutti e per molto tempo, li riteniamo che non siano allontanati dal ministero" (CLEMENTE ROMANO, Lettera ai Corinti 44,3, in I Padri Apostolici, a cura di Antonio Quacquarelli, Città Nuova, Roma 1981, p. 78). Clemente dà un ordine: vengano reintegrati nei loro ruoli di comando quelli che la comunità della Chiesa di Corinto aveva allontanato. Giunge persino a minacciare gravi sanzioni qualora le sue disposizioni non siano rispettate: Quelli che disobbediscono alle parole di Dio, ripetute per mezzo nostro, sappiano che incorrono in una colpa e in un peri-colo non lievi" (Ibid., 59, in I Padri Apostolici, cit., p. 88).
Dunque, la storia ci dice che Clemente, Vescovo di Roma, successore di Pietro:
- interviene negli affari interni di una Chiesa, quella di Corinto, che, al pari di quella di Roma, aveva origini apostoliche.
- interviene mentre è ancora vivo Giovanni, uno degli Apostoli.
- interviene minacciando sanzioni se non viene obbedito.
Come non ricordare, proprio in questo episodio, l’applicazione di quel potere di "legare e sciogliere" che Gesù aveva conferito a Pietro e che in questa occasione viene esercitato dal suo legittimo successore? La lettera di Clemente, che rivela il ruolo preminente del Vescovo di Roma su un’altra Chiesa, viene conservata con cura dalle comunità cristiane primitive, tanto è che nell’anno 170, il vescovo di Corinto, Dionigi, scrive a papa Sotero informandolo che quello scritto era letto nella celebrazione eucaristica domenicale. Nel I secolo, quando la Chiesa era una, sembra certo che il Vescovo di Roma esercitasse il suo "Primato" non solo dal punto di vista onorifico, ma anche e soprattutto nel governo della Chiesa. La storia ci offre altri dati.
Nel secondo secolo, il ruolo di governo e di guida del Romano Pontefice era pacificamente accettato nella Chiesa intera. Lo attesta una serie di documenti di incomparabile valore.
Per brevità citiamo soltanto Ireneo (ca 140-ca 200), vescovo di Lione, che nella sua famosissima opera Adversus haereses, scritta per confutare le dottrine eretiche, riferendosi alla Chiesa di Roma, ci lascia scritto: "Infatti, con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d’accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte... essa nella quale per tutti gli uomini sempre è stata conservata la Tradizione che viene dagli Apostoli" (S. IRENEO DI LIONE, Contro le eresie egli altri scritti, 111, 3) 2, a cura di Enzo Bellini, Jaca Book, Milano 1981, p. 218).
È difficile trovare un documento più chiaro riguardante le convinzioni dei primi cristiani in merito al Primato della Chiesa di Roma. Con questa Chiesa, cioè con la Chiesa Cattolica, deve rimanere in comunione ogni cristiano, da qualunque parte provenga, occidentale od orientale. Sono parole che bene farebbero a leggere Protestanti, Anglicani e anche Ortodossi, tutti allontanatisi dalla Chiesa di Roma nel corso dei secoli.
Anche nel terzo e nel quarto secolo il Primato della Chiesa di Roma non veniva posto in discussione dai Cristiani. Tra i documenti che lo attestano, ricordiamo le parole che sant’Agostino, vescovo di Ippona, rivolge a quanti, come al suo tempo i Donatisti, avevano abbandonato l’unità con la Chiesa Cattolica: "Voi sapete che cos’è la Chiesa cattolica: è la vite di cui voi siete i tralci tagliati... Perciò affrettatevi a ritornare per essere nuovamente innestati sulla vera vite. Poiché infatti la vera vite è là dove è la sede di Pietro, quella sede di cui noi conosciamo la serie autentica dei titolari. Ivi è la pietra contro la quale non prevarranno le porte dell’inferno" (S. AGOSTINO, Psalmus contra partem Donati, del 394).
Ai tempi di s. Agostino, quando non s’era verificata la scissione tra Cristiani d’Occidente e d’Oriente, coloro che abbandonavano la Chiesa cattolica venivano invitati a "ritornare per essere nuovamente innestati sulla vera vite", vera vite che coincideva con la cattedra di Pietro. Per il santo vescovo di Ippona, le parole di Cristo: "le porte degli inferi non prevarranno" erano state rivolte alla Chiesa cattolica, alla Chiesa di Roma, dov’era la sede di Pietro e dei suoi successori. Questo invito conserva tutto il suo valore. Oggi un cattolico lo rivolge, forte della tradizione della Chiesa, a quei Cristiani che non sono in comunione con la Cattedra di Pietro, cioè con la Chiesa Cattolica. La storia ci insegna che i Pontefici di Roma hanno esercitato il loro Primato, che comprendeva anche il governo della Chiesa, ben prima che si verificasse la scissione dolorosa del 1054, che separò l’Oriente dall’’Occidente cristiano.
Sempre per ragioni di brevità, qui ricordiamo solo che Papa Vittore (189-199) decide di scomunicare le Chiese d’Asia che non si accordavano con la Chiesa di Roma nella definizione della data della celebrazione della Pasqua. Il fatto è di rilevante importanza. Infatti, nessun vescovo, tranne quello di Roma, il Papa, poteva attribuire a se stesso un potere come questo: scomunicare tutte le Chiese di un’intera regione. Siamo di fronte all’esercizio di quel potere di legare e di sciogliere affidato da Gesù a Pietro e tramandato ai suoi successori. Un potere che nessuno osa contestare, quando la Chiesa era una.
Ma la storia ci offre anche altri dati interessanti. Essa ci consente di conoscere ciò che, in merito al Primato di Pietro, i predecessori degli attuali vescovi e patriarchi dell’Oriente cristiano, ora separati da Roma, confessavano prima della dolorosa scissione. Erano anch’essi convinti che si trattasse solo di un Primato d’onore e non invece di giurisdizione? A questa domanda rispondono i documenti che ci sono pervenuti dai primi Concili della Chiesa, riconosciuti come validi anche dagli attuali vescovi dell’Oriente scismatico. I primi quattro Concili si svolgono tutti in Oriente, convocati dall’Imperatore. Il Papa non vi partecipa, ma manda suoi rappresentanti. L’esame dei documenti approvati dai Concili non lascia alcun dubbio sul riconoscimento del Primato di Pietro, sulle prerogative di questo Primato, sul ruolo di guida, di comando e di governo dell’intera Chiesa esercitato dal Vescovo di Roma, riconosciuto ed accettato da tutta la Chiesa. Ecco qualche esempio.
Il Credo approvato dal primo Concilio ecumenico di Nicea (325), alla presenza di oltre 300 vescovi dell’Oriente, è firmato per primo da Osio, vescovo di Cordoba, e da due presbiteri romani. I tre erano i rappresentanti del papa Silvestro.
Nel terzo Concilio ecumenico, tenuto ad Efeso nel 431, il rappresentante del Papa, il presbitero Filippo, pronuncia memorabili parole che, vera e propria esposizione dottrinale del Primato di Pietro, sono accolte in deferente silenzio da tutta l’assemblea: "Nessuno dubita, o Piuttosto è un fatto noto in tutti i secoli, che il santo e beatissimo Pietro, il pescatore e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette da nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, le chiavi del regno e che a lui è stato dato il potere di legare e di sciogliere. E Pietro, fino a questo tempo e per sempre vive e Giudica nella persona dei suoi successori. Ora appunto il suo successore e sostituto legittimo, il nostro santo e beato papa Celestino, vescovo, ci ha mandato a questo Concilio per rappresentarlo" (JOANNES DOMINICUS MANSI, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, vol. IV, ristampa anastatica, Graz 1960-1961, p. 1295).
Non meno significativa risulta essere la lettera inviata dal papa Celestino al suddetto Concilio: "Nella nostra sollecitudine noi abbiamo mandato i nostri santi fratelli e colleghi nel sacerdozio, i vescovi Areadio e Proietto insieme con il prete Filippo, uomini specchiatissimi e d’un solo sentire con noi, affinché intervengano nelle vostre discussioni ed eseguiscano ciò che già da noi è stato deciso. Siamo sicuri che la vostra santità si sentirà in dovere di uniformarsi alle loro decisioni" (Ibid., p. 1287).
Infine, ricordiamo il IV Concilio ecumenico, svoltosi a Calcedonia, in Turchia, nel 451. Il Papa Leone I Magno non vi partecipa, ma manda i suoi rappresentanti e pone come condizione che il Concilio venga presieduto da uno di essi, il vescovo Pascasino.
Alla seduta inaugurale si registra una dimostrazione del ruolo preminente del Romano Pontefice. Infatti, il rappresentante del Papa si oppone alla partecipazione al Concilio del Vescovo di Alessandria, Dioscoro, con queste parole: "Abbiamo con noi le istruzioni del beato ed apostolico Vescovo della città dei Romani, il quale è capo di tutte le Chiese (qui est caput omnium Ecclesiarum), ed esse prescrivono che Dioscoro non deve partecipare al Concilio e se tenta di farlo deve essere espulso" (Ibid., vol. VI, pp. 580-581). L’affermazione che il Vescovo di Roma è "capo di tutte le Chiese", pronunciata solennemente dinanzi a tutti dal legato pontificio, non scandalizza i presenti e nessuno la contesta, nemmeno il Patriarca di Costantinopoli, ivi presente, che, lo ricordiamo, era predecessore dell’attuale Patriarca di Costantinopoli che oggi non riconosce il pieno Primato di Pietro.
Abbiamo qualche argomento per trarre una conclusione. La documentazione fin qui esaminata ci porta ad affermare che, prima dello scisma di Costantinopoli dell’anno 1054, che darà vita alla Chiesa d’Oriente, il Primato di Pietro era riconosciuto da tutta la Chiesa, affermato dai Concili ai quali parteciparono i predecessori di quanti oggi lo contestano nella sua interezza. La storia ci dimostra, con abbondanza di documenti, che si trattava di un Primato non solo di onore (come sarebbero disposti a riconoscere tuttora le gerarchie della Chiesa ortodossa) ma di governo e di giurisdizione, come lo crede e lo esercita ancora oggi, come sempre ha fatto e continuerà a fare, la Chiesa Cattolica. Ne consegue che, sulla base della documentazione storica in nostro possesso, è la Chiesa di Roma, cioè la Chiesa cattolica, che ha conservato intatta sia la dottrina sia il ruolo ed i compiti che Cristo ha affidato a Pietro e ai suoi successori. È proprio dalla storia che ci giunge il permesso di affermare, con un notevole margine di certezza, che la sola Chiesa fondata da Cristo è quella cattolica, che fa capo al Vescovo di Roma.
Infatti, essa sola, tra tutte le Chiese oggi esistenti:
- ha origini che risalgono all’età apostolica, attraverso la successione dei sommi pontefici a partire da Simon Pietro, e dunque è stata fondata da Gesù Cristo;
- conserva intatto il Primato di Pietro, così come lo ha istituito il Signore e lo ha compreso ed esercitato la Chiesa primitiva. Primato non solo di onore ma di giurisdizione, cioè di governo della Chiesa intera;
- può dimostrare che questo Primato fu riconosciuto, accolto e accettato da tutta la Chiesa dell’antichità e fu sempre esercitato dai Papi.
- infine, può dimostrare che quanti negano l’esercizio del Primato di Pietro, quanti contestano il ruolo che ancora oggi ricopre il Papa, si sono allontanati dalla vera dottrina insegnata da Gesù Cristo, dalla sola Chiesa fondata dal Maestro e dalla consuetudine, cioè dalla Tradizione della Chiesa.
Il cattolico ha argomenti sufficienti per esporre, sostenere e difendere i motivi di credibilità della Chiesa cui appartiene.
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