Conferenza n.28 del 31 ottobre 2008
Ospite: Marco Invernizzi / Argomento: Politica

LA RIVOLUZIONE CULTURALE DEL SESSANTOTTO
Bilancio della rivoluzione culturale e morale che ha sovvertito (e continua a sovvertire) l’ordine naturale su cui si fondava l’Occidente

Da almeno mezzo secolo l'Occidente vive una trasformazione culturale che agisce prevalentemente nel campo tendenziale e comportamentale dell'uomo. Si tratta di una trasformazione rivoluzionaria destinata non tanto a cambiare le strutture sociali, ma che pretende un cambio radicale dell'uomo stesso.

LO SCOPPIO DEL SESSANTOTTO
 Questa trasformazione denominata anche "Rivoluzione Culturale" ha come cornice iniziale simbolica appunto gli avvenimenti di ripercussione mondiale di quella data, maggio 1968, quando gli studenti presero in mano alcune facoltà dell'Università della Sorbona a Parigi.
È vero però che la cosiddetta Rivoluzione Culturale occidentale, che ricorda quella cinese per il tentativo di modificare le mentalità, inizia prima del '68. Basti pensare a certa cinematografia hollywoodiana, a certa letteratura, alla beat generation, al movimento hippy, alle manifestazioni studentesche precedenti in California e persino in Italia.
Non è difficile vedere negli slogan emblematici del '68: "Proibito proibire" e "L'immaginazione al potere", l'appello alle passioni di orgoglio e sensualità, che costituiscono, secondo il pensiero del pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira, i veri motori del processo di scristianizzazione dell'Occidente, perché nutrono come alternativa alla vita individuale e sociale ordinata secondo la legge naturale e la morale del Vangelo, l'utopia della completa uguaglianza e della totale libertà.

UN NUOVO TIPO DI RIVOLUZIONE
Nella Rivoluzione Culturale, più che dare un nuovo slancio alle grandi trasformazioni politiche, si cerca di mettere in discussione ogni residuo di ordine, di logica e di autorità, sia negli individui che nelle famiglie e nell'ambito educativo dei giovani, sotto il pretesto di liberare le persone dalle "ultime oppressioni".
Plinio Corrêa de Oliveira ha descritto decenni fa la Rivoluzione Culturale ancora nascente, rilevando un grande paradosso: il ruolo della ragione individuale, dopo essere stato ipertrofizzato dal libero esame, dall'illuminismo razionalista, dal cartesianesimo, veniva sempre più delegato a veri guru in una sorta di nuovo collettivismo sociale di tipo tribale. La rivoluzione culturale, con la liberazione della fantasia, suppone l'estinzione dei vecchi modi di ragionare, ottenendo in scala sociale alcune delle caratteristiche di quel fenomeno concentrato che fu il movimento hippy.
Essa suppone anche un'avversione alla logica che si va riflettendo persino nella politica, la quale si gioca ormai non tanto sulle analisi dei problemi d'interesse generale ma sulle empatie personali. I leader politici post-ideologici non di rado rasentano in qualcosa il guru. Essi s'impongono all'attenzione per l'immagine che danno di se stessi e non per le oggettive capacità di far fronte alle sfide della vita pubblica. Sono i personaggi trionfanti della civiltà dell'immagine, di cui Paolo VI ha parlato negli anni Sessanta.
Caratteristiche della Rivoluzione culturale post sessantottina e "hippificante" sono anche l'avanzamento del libero amore, del nudismo, dell'abbigliamento informale (arrivando alla irragionevolezza di pagare caro per avere vestiti stracciati di buona griffe).
Inutile dire che con queste mode e tendenze è aumentata significativamente la volgarità e la perdita della cortesia. Le buone maniere, lo stile, l'equilibrata e sobria eleganza, sono tutte cose associate, nel pensiero dei fautori del '68, a un mondo oppressivo e anticreativo.

SESSANTOTTO E RIVOLUZIONE SESSUALE
Un grande precursore del '68, lo studioso austriaco di origine ucraina Wilhelm Reich, diceva già 80 anni fa che la famiglia monogamica tradizionale era l'istituto repressivo per eccellenza e che la sua dissoluzione era la prima grande meta da raggiungere. "La sequenza famiglia-tradizione-ordine oggettivo di valori, è stata da lui colta perfettamente", commentava il filosofo cattolico italiano Augusto del Noce, perché è vero che senza la famiglia tradizionale non sarebbe stato più possibile consegnare di generazione in generazione quei valori indispensabili per la crescita della civiltà.
La domanda che sorge spontanea è: a 40 anni dal '68, dopo lo tsunami della rivoluzione sessuale, veramente sono scomparse le nevrosi? Viviamo tutti in una società più felice e piena di speranza? Parlano in questo senso le statistiche? Per esempio, quelle che riguardano i suicidi o i vari crimini a sfondo sessuale. La risposta è, indubbiamente, no!

LA GRANDE CRISI SPIRITUALE
Lo spirito del '68 si è nutrito non solo di certi programmi anticristiani ma anche di una realtà che Augusto del Noce discerneva come una "nuova situazione spirituale dell'Occidente", in particolare dell'Europa, dove notava una sorta di stanchezza di tutti i principi ritenuti eterni, qualcosa come un "millenarismo negativistico" che la spingeva a ritenersi definitivamente consunta e aperta solo alla negazione dei valori.
Davanti a questo quadro di crisi spirituale, commenta Augusto del Noce, con le armi inizialmente fornite dalla psicoanalisi e trasformatesi gradualmente in rivoluzione sessuale totale, si otteneva nel modo più efficace lo scopo di smantellare in Europa la sua tradizione finalizzata a un ordine oggettivo dei valori. E sottolineava particolarmente l'acutezza dell'affermazione dei surrealisti di Breton quando annunciavano nel loro manifesto "che la battaglia finale contro il cristianesimo non poteva essere condotta che sul piano della rivoluzione sessuale".
Persino, in certi ambienti cattolici ci fu – sempre secondo l'analisi di del Noce – un "nuovo giudizio di valore" sull'"erotismo" che andava invadendo la società. Esso da disvalore fu gradualmente accettato come valore, come "piena integrazione del sesso nella via umana". Ciò cagionava anche un diverso approccio in certi ambienti della vita consacrata verso la società circostante la quale, per i detti ambienti, non andava più attirata con la santa diversità del Vangelo, ma con la mimetizzazione.

CONSEGUENZE SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI
Lo spirito della Rivoluzione Culturale sessantottina ha avuto una serie di conseguenze concrete sul piano del costume, che stanno sotto gli occhi di tutti. Conviene comunque ricordare alcuni esempi lampanti:
1) l'esplosione della pornografia, anche nella sua forma più abietta di pedo-pornografia. Col corollario di reati forse mai sentiti prima, come il diffuso turismo sessuale;
2) l'altrettanto massiccia assunzione di stupefacenti, prima un'abitudine di pochissimi sbandati sociali.
3) la facilitazione del divorzio. A titolo di esempio, ricordiamo qui la modifica introdotta alla legge sul divorzio forse dal più sessantottino dei leader europei, José Luis Zapatero in Spagna, dove ora bastano tre settimane e la richiesta di una sola delle parti per sciogliere il vincolo matrimoniale;
4) l'aborto che ha fatto nella sola Italia, a partire dalla sua depenalizzazione, 5 milioni di vittime;
5) l'allargamento in un numero sempre crescente di nazioni della legalizzazione del cosiddetto matrimonio omosessuale. In molti Paesi, come il Regno Unito, l'Olanda, il Belgio, la Spagna, a queste coppie omosessuali possono venire affidati bambini in adozione;
6) la crescente separazione dell'atto sessuale dalla procreazione la quale, a sua volta, se ritenuta un mera tecnica di sviluppo umano e sociale da lasciare al giudizio inappellabile dei laboratoristi e scientisti, potrà "fare di questo mondo – sono parole di Giovanni Paolo II – invece di un giardino, un ammasso di macerie".
Ecco qualche esempio del costo reale del "proibito proibire".

LA FAMIGLIA: ULTIMO BASTIONE D'ABBATTERE PER I FIGLI DEL '68
Bisogna aggiungere che nel compito di sottrarre influenza alla Chiesa mediante la rivoluzione sessuale sessantottina, la sinistra ex marxista, post comunista, sedicente a-ideologica (ma anche una parte significativa della destra), non ha alcun dubbio su dove schierarsi. Molti sinceri anticomunisti, e sinceri cattolici, hanno ingenuamente creduto che la rinuncia di buona parte della sinistra all'abolizione della proprietà, o della predicazione della lotta di classi, significava una moderazione nel processo rivoluzionario scristianizzante.
L'esempio della rivoluzione culturale zapaterista dimostra il contrario: nell'itinerario segnalato da pensatori come Wilhelm Reich o André Breton ci troviamo, almeno nell'intenzione degli agenti di questa rivoluzione, non a una pausa bensì a una radicalizzazione di tale processo.
E oggi la relativizzazione e conseguente dissoluzione dell'istituto della famiglia monogamica tradizionale costituisce la frontiera più ambita da chi vuole far scomparire ogni segno di una civiltà costruita secondo un ordine oggettivo di valori e di fini, sia naturale che cristiano.
In questo senso vanno viste anche l'equiparazione legale della famiglia tradizionale ad altre forme di convivenza. Ed è per questo che Sua Santità Benedetto XVI ha detto che la difesa della famiglia fondata sul matrimonio uomo-donna costituisce per ogni cattolico, in particolare per quelli che hanno impegni nella vita pubblica, uno dei tre "principi non negoziabili", essendo gli altri due la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale e il diritto dei genitori di scegliere l'educazione dei figli.

Articolo di Giacomo Monti tratto da Radici Cristiane n. 34 - Maggio 2008